Agganciandosi allo scientismo e a una tecnologia senz’anima, il transumanesimo lavora perché si crei una nuova realtà socio-culturale. Questo movimento di pensiero, infatti, spera che gli uomini possano aumentare le proprie capacità fisiche e cognitive per eliminare ciò che fonda l’umano: la fragilità. Si propone di cancellare tutto ciò che viene considerato un limite: la disabilità, la malattia, la vecchiaia, la morte.
Per realizzare questo progetto sono necessarie le innovazioni tecnologiche emergenti: ingegneria genetica sull’uomo, intelligenza artificiale, nanotecnologia, neurofarmacologia, clonazione, bionica, crionica [1] e sviluppo di comunicazioni avanzate. Da una parte, il transumanesimo si collega all’umanesimo classico impegnandosi per il progresso, ponendo al centro l’uomo e la ragione; dall’altra, se ne distacca in modo netto ponendo il suo focus sulla possibilità dell’enhancement, parola inglese che si può tradurre con potenziamento.
Uno dei più grandi teorici del movimento transumanista, il filosofo Fereidoun M. Esfandiary, deceduto nel 2000, cambiò legalmente il suo nome in FM-2030, con questa motivazione: «Il nome 2030 riflette la mia convinzione che gli anni intorno al 2030 saranno un momento magico. Nel 2030 saremo senza età e tutti avranno un’ottima possibilità di vivere per sempre. Il 2030 è un sogno è un traguardo» [2]. Un passaggio, quindi, dall’homo sapiens all’homo techno-sapiens.
All’interno di questa rappresentazione, non sembra prevalere una riflessione sulla dialettica desiderio-limite tipica dell’uomo saggio. Il desiderio-limite è quella dimensione nella quale l’uomo nasce, vive, matura, scoprendo di essere indigente, di non bastare a se stesso: la consapevolezza dei propri limiti, infatti, evita il delirio d’onnipotenza, un’immagine errata di libertà, la bramosia, la prevaricazione sull’altro e la pretesa di auto-salvezza. Il limite-fragilità, invece, è il nostro destino: possiamo detestarlo perché ci impedisce di sentirci più forti, oppure accoglierlo per sentirci più umani e in comunione col Creato. Ovviamente non è nostra intenzione usare il luogo comune del limite per schierarci contro la scienza e la tecnologia; anzi, condividiamo il pensiero del teologo e astronomo Giuseppe Tanzella Nitti: «Insistere (peraltro comprensibilmente) sull’idea che le applicazioni tecnologiche debbano avere dei limiti [...] è sempre rischioso farlo. [...] La metafora del limite offre il fianco ad una critica, quella di vedere il rapporto fra bene morale e ricerca scientifica in modo estrinseco, e che l’etica del limite ha anch’essa i suoi limiti, se non illuminata da un’etica dell’agire virtuoso» [3].
Nascita, morte e assenza di relazione
Percepita come un momento di gioia e speranza, la nascita rivela la nostra costitutiva fragilità: ogni vita che nasce è già destinata morire, porta la morte inscritta nel suo stesso essere. Vivere è qualcosa che si dilata nei giorni e il morire è qualcosa che già sperimentiamo. La Bibbia esalta la vita come una presenza di relazione, in cui vivere significa essere connessi con il prossimo, con la comunità e con Dio. Al contrario, chi affronta una crisi esistenziale, affettiva o di fede, o sta elaborando un lutto, sperimenta tragicamente un’assenza di relazione. Perché gli incontri con Cristo risorto sono sempre accompagnati da segni concreti, come nel noto episodio dei due discepoli di Emmaus? (cfr. Lc 24,13-35). Perché Gesù spezza il pane e mangia insieme a Cleopa e al suo amico? Semplicemente per manifestare la sua presenza e il suo amore, per condividere un momento di intimità e per dimostrare che, anche nella disperazione e nella morte, la relazione rimane l’essenza di tutto. Gesù contrasta, quindi, ciò che rende la morte particolarmente spaventosa: l’assenza di relazione, l’interruzione del legame con se stessi e con gli altri. Ci insegna che solo coltivando la prossimità possiamo affrontare e superare i nostri blackout profondi [4], vivendo così in modo virtuoso l’etica del limite.
Superpoteri, opere potenti e un Dio fragile
Il telos dei transumanisti è, invece, quello di diventare perfetti grazie a dei “superpoteri tecnologici”. In tal senso, esiste un sostrato culturale già nei fumetti e nella cinematografia: alcuni supereroi sono “postumani” perché i loro poteri sono implementati dalla tecnologia. Emblematico il caso di Batman, che non ha alcun superpotere e combatte il male attraverso la sua finissima intelligenza e con il supporto di tecnologie avanzate. Per Scott Jeffery, i supereroi dei fumetti e dei film non sono altro che manifestazioni dell’immaginario popolare del transumanesimo e postumanesimo. In effetti, i corpi di diversi supereroi sono il "prodotto" di manipolazioni tecnico-scientifiche, di pericolosi programmi militari, di interventi medici o di incidenti sul lavoro [5]. Al centro della fede cristiana c’è, invece, il crocifisso, un Dio “fragile” che si lascia colpire e coinvolgere dalla sofferenza, che non pensa come noi per forza al miracolo: «È un Dio che non fa più miracoli, e soprattutto non fa il miracolo per eccellenza, il prodigio che davvero avrebbe accreditato Gesù come Figlio di Dio, perché è il miracolo che gli era stato chiesto con insistenza dai capi dei sacerdoti e dagli scribi: “Il Cristo, il Re d’Israele, scenda ora giù dalla croce, affinché vediamo e crediamo!” (Mc 15,32). Proprio quel miracolo decisivo e risolutivo, che avrebbe fugato tutti i dubbi sull’identità di Gesù e avrebbe spianato la via alla fede in lui anche da parte di coloro che finora lo avevano contestato, Gesù non l’ha fatto» [6]. Anzi, arriva un momento in cui Dio decide di non compiere più prodigi per mostrarsi scandalosamente vulnerabile: «Ne ha fatti tanti, Gesù, di miracoli, ma nessuno in favore suo, come sarebbe stata la trasformazione delle pietre in pane quando ebbe fame dopo quaranta giorni di digiuno; il diavolo glielo suggerì, ma Gesù rifiutò, come rifiutò di scendere dalla croce, perché anche questo sarebbe stato a suo favore, mentre tutti i suoi miracoli sono a favore degli altri. Nei Vangeli i miracoli sono spesso chiamati, non a caso, "opere potenti", manifestazioni della potenza divina di Gesù» [7].
L'esistenza di Cristo è segnata da due momenti di fragilità totale: la nascita e la morte. Uno stile di vita immerso negli oggetti tecnologici, nella loro natura puramente materiale, chiude ogni finestra verso la trascendenza: non pone il limite al centro, non invita a donarsi agli altri. Ma se riusciamo a vedere in questi oggetti l’essenza spirituale, consapevoli del nostro nascere e morire, diventano strumenti attraverso cui lo Spirito guida e supporta l’umanità nel suo cammino verso il divino. In questo caso, il nostro rispetto per la tecnologia è giustificato, perché essa ci rimanda a qualcosa di spirituale e soprannaturale. Potremmo, quindi, parlare di uno sguardo intriso di fede.
Giuseppe Pani
[1] Disciplina che studia la conservazione dei corpi a bassissime temperature in interazione con dispositivi elettronici o di altro tipo.
[2] Fm-2030, All Things Considered, in «National Public Radio», 7 luglio 2011.
[3] G. Tanzella-Nitti, Pensare la tecnologia in prospettiva teologica: esiste un umanesimo scientifico?, in P. Barrotta – G.O. Longo – M. Negrotti (a cura di), Scienza, tecnologia e valori morali: quale futuro. Scritti in onore di Francesco Barone, Armando, Roma 2011, 202.
[4] Cfr. A. Toniolo, Nascere e morire. Da enigma a mistero, in «CredereOggi», 3 (2012), 70.
[5] Cfr. S. Jeffery, The Posthuman Body in Supehero Comics. Human, Superhuman, Transhuman, Post/Human, Palgrave Macmillian, New York 2016.
[6] P. Ricca, Debolezza e onnipotenza, in B. Salvarani (a cura di), La polvere e il soffio – La fragilità dell’uomo – Debolezza e onnipotenza, EDB, Bologna 2017, 28.
[7] Ibid.
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